Per l’anno 2024 in Italia la Società Speleologica Italiana sceglie come animale di grotta non una singola specie, ma un gruppo di otto specie congeneriche molto caro a tanti speleologi italiani e molto invidiato da tanti altri: i geotritoni.
I geotritoni sono anfibi che frequentemente abitano le zone più prossime all’entrata nelle grotte; molto spesso vengono osservati stare placidamente sulle pareti della grotta, oppure si possono notare gli occhioni che riflettono le nostre luci dall’interno di qualche nicchia.
Con molta probabilità, pochi (se non addirittura nessuno) degli speleologi che hanno potuto vedere di persona un geotritone sono rimasti indifferenti. I geotritoni non sono solo animali teneri e carini ma, come leggerete più avanti, possiedono delle caratteristiche particolarissime, le quali da un lato li rendono ancora più speciali, ma dall’altro li rendono anche fortemente suscettibili al rischio di estinzione. Infatti, tutti i geotritoni sono protetti da leggi italiane ed europee, tanto da non poter nemmeno essere toccati senza speciali autorizzazioni ministeriali (si raccomanda comunque di non toccarli in quanto asciughereste e riscaldereste la pelle, attraverso la quale respirano). Se pensiamo alla diversità di specie degli ambienti sotterranei che abbiamo in Italia, i geotritoni sono sicuramente tra gli animali più carismatici e di forte importanza, in quanto rappresentano buona parte dei pochi vertebrati che frequentano in modo regolare e continuativo le grotte nel nostro paese, svolgendo altresì un ruolo chiave nel sostentamento dell’intero ecosistema.
Per questo motivo si è deciso di dedicare a loro questa iniziativa, in modo da poterli far conoscere meglio a tutti, specialmente agli (ahinoi) sfortunati che frequentano zone prive di questi anfibi.
Una specie la si può proteggere solo se la si conosce; qui troverete diversi motivi per aumentare la vostra attenzione verso questi splendidi animaletti. Un’ultima raccomandazione prima che vi immergiate nella lettura. Esiste una minaccia invisibile ai nostri occhi, un’infezione fungina che ha provocato e sta provocando morie di massa ed estinzione di molte specie di anfibi: la chitridiomicosi. Questo fungo viene facilmente trasportato attraverso le sue spore che rimangono incluse nel suolo/fango che spesso ricopre le nostre tute, scarponi ed attrezzature. Dato che noi frequentatori delle grotte siamo i primi a visitare le grotte e con molta probabilità anche i primi a trasportare il fungo patogeno, ci raccomandiamo un’attenta pulitura e disinfezione di tutta l’attrezzatura e abbigliamento dopo ogni visita in grotta. Fatelo per queste piccole meraviglie.
Nel 2024 viene inoltre celebrato il Convegno Nazionale di Biospeleologia in Sardegna dal 9 al 14 settembre 2024, il Convegno ha una valenza internazionale come 26th International Conference on Subterranean Biology ed inoltre 6th International Symposium on Anchialine Ecosystems ed è parte delle azioni di sensibilizzazione che i ricercatori di questo settore promuovono per la protezione delle grotte e la biodiversità sotterranea.
Nome scientifico Speleomantes Dubois, 1984
Nome comune Geotritoni (European cave salamanders)
Ordine - Famiglia Urodela, Plethodontidae
Status IUCN globale S. imperialis Quasi minacciata (Near Threatened) – NT; S. genei Vulnerabile (Vulnerable) – VU; S. strinatii, S. italicus, S. supramontis, S. flavus in Pericolo (Endangered) – EN; S. ambrosii and S. sarrabusensis a Rischio critico (Critically Endangered) – CR.
Status IUCN nazionale S. imperialis e S. ambrosii Quasi minacciata (Near Threatened) – NT; S. genei e S. supramontis Vulnerabile (Vulnerable) – VU; S. strinatii e S. italicus Minor preoccupazione (Least Concern) – LC; S. flavus in Pericolo (Endangered) – EN; S. sarrabusensis a Rischio critico (Critically Endangered) – CR.
Tutela legale Berna, All. II; Direttiva Habitat, All. II, IV.
I geotritoni sono per semplicità chiamati salamandre, ma in realtà appartengono ad una famiglia diversa da quella dei Salamandridi (alla quale si riconducono specie come la salamandra pezzata e i tritoni), ovvero i Pletodontidi. Il nome “pletodontidi” deriva dal Greco antico (plêthos = abbondanza, moltitudine; odoús, -odóntos = dente) e sta ad indicare l'elevato numero di denti che possiedono: premascellari, mascellari, mandibolari, vomerini anteriori e vomerini posteriori. Le caratteristiche morfologiche ed ecologiche delle otto specie sono molto simili, sebbene alcuni studi abbiano evidenziato alcune divergenze. Possiedono un corpo allungato e sono provvisti di coda anche durante la fase adulta. Generalmente gli individui delle tre specie continentali arrivano a misurare 12 cm (dalla punta del muso alla punta della coda), mentre quelli delle cinque specie sarde sono un po' più grandi e possono raggiungere anche i 15 cm. La coda può essere persa e rigenerata come strategia per sfuggire ai predatori. Le zampe anteriori hanno quattro dita, mentre quelle posteriori cinque; ogni dito è connesso all’altro attraverso una membrana interdigitale, la quale viene utilizzata per far presa su superfici verticali (come, ad esempio, le pareti delle grotte). Gli occhi sono ben sviluppati e sporgenti sulla parte superiore della testa. Nella parte anteriore del muso sono presenti dei solchi naso-labiali che probabilmente vengono utilizzati per incanalare i segnali chimici provenienti dall’ambiente, data l’importanza della comunicazione olfattiva per questi animali (Figura 1. Close-up di un individuo maschio di S. italicus. Dalla foto si possono notare gli occhi sporgenti, i denti premascellari fortemente sviluppati, e i solchi naso-labiali).
La colorazione dorsale è estremamente variabile, anche a livello intraspecifico, con pigmenti colorati che vanno dal bruno-rossastro al giallo, che si distribuiscono su una base di colore scuro; talvolta il pigmento colorato ricopre tutto il dorso, altre invece è praticamente assente (Figura 2. Collage di vari esempi di colorazione riguardanti tutte le specie di Speleomantes, inclusi gli ibridi; foto prese da Lunghi et al. 2020b). Si conoscono casi di leucismo e albinismo. Il ventre invece risulta essere generalmente chiaro o vermicolato. Esiste un dimorfismo sessuale negli adulti. I maschi sono generalmente contraddistinti dalla presenza di un particolare organo chiamato “ghiandola mentoniera”, posto sotto il mento (Figura 3. Dettaglio della ghiandola mentoniera di un maschio adulto di S. italicus); la forma della testa più affusolata e i denti premascellari più sviluppati sono ulteriori caratteri distintivi dei maschi. Questi caratteri sono evidenti solo nei maschi che hanno raggiunto la maturità sessuale, mentre per distinguere i giovani dalle femmine adulte ci si basa esclusivamente sulla taglia.
I geotritoni sono privi di polmoni e respirano principalmente attraverso la loro pelle. Per far sì che la loro respirazione cutanea mantenga un elevato livello di efficienza, i geotritoni scelgono ambienti caratterizzati da un’elevata umidità e da temperature relativamente basse ( Ficetola et al. 2018). L’assenza dei polmoni ha permesso a queste specie di sviluppare una lingua protrusibile, la quale viene dardeggiata come quella di un camaleonte, a velocità invisibili ad occhio nudo. Alla sua estremità la lingua è corredata di una sorta di cuscinetto con il quale vengono “agganciate” le prede e portate all’interno della cavità orale grazie alla retrazione della lingua.
Sono anfibi a sviluppo diretto, il che significa che non hanno una fase larvale acquatica, come accade ad esempio coi girini per gli anuri (rane e rospi) o con le larve di salamandre e tritoni. Infatti, i nuovi nati di geotritone schiudono dalle uova con una forma identica a quella degli adulti, la quale differisce solo per le ridotte dimensioni. Le uova vengono deposte in numero variabile (fino ad un massimo di 14) all’interno di ambienti terrestri caratterizzati da un microclima ideale e dove possono essere facilmente protetti. Il corteggiamento è stato osservato durante tutte le stagioni e si sviluppa nel seguente modo. Il maschio, trovata una femmina idonea a riprodursi la “vaccina”, ovvero le fa delle piccole abrasioni sul corpo sulle quali andrà a strusciare la propria ghiandola mentoniera, attraverso la quale inietterà dei feromoni che promuoveranno la sincronizzazione del corteggiamento e l’interesse della femmina (Lanza et al. 2006). Dopodiché il maschio, posizionandosi davanti alla femmina, la guida con movimenti oscillatori della coda verso la sacca spermatica che gli depositerà davanti; la femmina la raccoglie attraverso la cloaca e utilizzerà lo sperma contenuto per fertilizzare le proprie uova. La deposizione delle uova avviene principalmente in due periodi dell’anno, alla fine dell’inverno e alla fine dell’estate (Mulargia et al. 2016, Lunghi et al. 2018b). Le madri accudiscono e proteggono la loro progenie fino al momento in cui le uova si schiudono e fino a che i piccoli iniziano ad esplorare autonomamente le zone fuori dal nido (Figura 4. Femmina di S. italicus che protegge le sue uova deposte all’interno di un foro di mina in una miniera della Toscana settentrionale. Foto presa da Lunghi et al. 2014), periodo che richiede normalmente circa 6 mesi. I geotritoni sono animali molto longevi che possono superare i 25 anni di età e presentano un’alta fedeltà al sito in cui abitano.
Con le sue otto specie, il genere Speleomantes è l’unico rappresentante europeo della Famiglia dei pletodontidi, la quale è principalmente distribuita nelle Americhe, salvo una singola specie presente in Corea del Sud (Lanza et al. 2006). I parenti più stretti dei geotritoni sono rappresentati da cinque specie appartenenti al genere Hydromantes, le quali sono distribuite in California (Bingham et al. 2018); date le forti somiglianze tra questi due generi, alcuni autori hanno valutato l’opportunità di ascriverli entrambi al genere Hydromantes, riconoscendo il gruppo degli Speleomantes come un sottogenere (Wake 2013). Questa peculiarità è dovuta alla particolare, e tuttora non completamente chiara, storia biogeografica dei pletodontidi europei. I pletodontidi hanno fatto la loro comparsa nella parte occidentale dell’America del Nord e sono successivamente arrivati nel Vecchio Mondo probabilmente attraverso la Beringia, una sottile striscia di terra che ha intermittentemente connesso l’Alaska e la Siberia fino a circa 11.000 anni fa (Lanza et al. 2006). Da qui, un gruppo ha raggiunto la Corea del Sud diversificandosi nella Karsenia koreana (Min et al. 2005), mentre un altro gruppo si è diviso in due: una parte è ritornata in California (Hydromantes) e una parte ha raggiunto l’Europa (Speleomantes) (Carranza et al. 2008). I dati molecolari indicano una chiara separazione tra il gruppo delle cinque specie sarde e le tre continentali, identificando S. genei (specie presente nel sud-ovest della Sardegna) come gruppo gemello di tutti gli altri Speleomantes (Carranza et al. 2008, van der Meijden et al. 2009). Ancora non sono chiari i processi che hanno portato all’attuale distribuzione delle singole specie di geotritone; si ipotizzano alcuni scenari relativi a una o più colonizzazioni Sardegna-continente attuate durante i periodi in cui il Mar Mediterraneo si è ritirato in modo tale da mettere in connessione l’isola con il continente (Lanza et al. 2006, Carranza et al. 2008).
Le otto specie di Speleomantes sono distribuite allopatricamente (ovvero senza sovrapposizione dei loro areali di distribuzione) in Italia continentale (includendo anche la Repubblica di San Marino), in Sardegna e nel sud-est della Francia (Lanza et al. 2006). Fanno eccezione due piccole aree dove le distribuzioni delle specie continentali si sovrappongono, dando origine a fenomeni di ibridazione (Ficetola et al. 2019, Bruni et al. 2023). Si conoscono anche alcune popolazioni introdotte al difuori dei loro confini naturali, in Italia, Francia e Germania.
Le tre specie continentali sono distribuite sulle Alpi Marittime, Alpi Apuane e lungo gli Appennini, interessando le seguenti regioni: Liguria, Toscana, Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo. In Sardegna le cinque specie si distribuiscono principalmente da nord-est a sud ovest, dove i vari gruppi montuosi spesso determinano i confini naturali delle loro distribuzioni (Chiari et al. 2012).
I geotritoni sono animali di grotta facoltativi, i cosiddetti troglofili. Infatti, le specie del genere Speleomantes sono epigee e hanno poi colonizzato ambienti sotterranei di varia natura; ecco perché tuttora si possono osservare sia popolazioni epigee, sia popolazioni che abitano esclusivamente le grotte. Il motivo alla base di questa colonizzazione è molto semplice: essendo completamente dipendenti dall’ambiente per quanto riguarda la loro temperatura corporea ed il tasso di umidità presente sulla propria pelle, durante i periodi in cui il clima è troppo caldo e asciutto si rifugiano all’interno degli ambienti sotterranei, in particolare in quelle zone in cui il microclima è più idoneo. Le popolazioni esclusivamente epigee sono spesso distribuite all’interno di aree boscate (frequentemente faggete), dove trovano rifugio nelle fessure delle rocce, negli alberi o addirittura nei muretti a secco. Sette delle otto specie di Speleomantes (le tre continentali più quattro della Sardegna) possiedono sia popolazioni epigee che ipogee, mentre la specie presente nel sud-est della Sardegna, S. sarrabusensis, ha solo popolazioni epigee. Questo accade perché quest’ultima si trova in un territorio prevalentemente granitico e non carsico come nel caso di tutte le altre specie, quindi su un' area sprovvista di cavità naturali (Lanza et al. 2006). Gli Speleomantes in generale, e in particolar modo gli individui epigei, sono maggiormente attivi durante i periodi col microclima più idoneo, evento che si verifica per lo più durante la stagione primaverile ed autunnale.
Si nutrono di una grande varietà di invertebrati, con particolare preferenza per quelli volanti (ad esempio ditteri, imenotteri) che catturano all’interno delle grotte o negli ambienti esterni grazie alla loro lingua protrusibile. Nonostante siano dei predatori generalisti che si nutrono di tutto quello che gli capita “a tiro di lingua”, è stato dimostrato che i singoli individui possono sviluppare delle preferenze per particolari tipologie di prede, determinando quindi una diversità di specializzazione della dieta in molti di loro. Spesso le popolazioni che risiedono all’interno delle grotte escono a cacciare in superficie, in quanto gli ambienti esterni hanno una disponibilità di prede ben più alta rispetto agli ambienti sotterranei. Questo “entrare ed uscire” gli attribuisce un ruolo fondamentale nel sostentamento delle comunità sotterranee e di tutto l’ecosistema, in quanto rappresentano uno dei maggiori trasportatori di sostanza organica all’interno delle grotte, sostanza che di per sé è molto scarsa in questi ambienti.
I geotritoni hanno generalmente pochi predatori, specialmente in ambiente sotterraneo dove rappresentano i predatori all’apice della rete trofica. Tra quelli più conosciuti possiamo citare le bisce del genere Natrix, i ragni cavernicoli del genere Meta e Tegenaria, e i centopiedi del genere Plutonium. È conosciuto un solo ectoparassita per queste salamandre: le sanguisughe del genere Batracobdella (Lanza et al. 2006). Curiosamente, queste sanguisughe sono conosciute solo per le specie della Sardegna (Figura 5. Femmina adulta di S. flavus parassitato da una sanguisuga del genere Batracobdella), mentre sembrano essere assenti in Italia continentale. Questi ectoparassiti si attaccano su più parti del corpo dei geotritoni; tuttavia, la loro presenza non sembra avere particolari effetti negativi sulla condizione corporea degli Speleomantes parassitati (Lunghi et al. 2018c).
Le specie di geotritone, date le loro peculiari caratteristiche biologiche ed ecologiche, sono generalmente molto sensibili al rischio di estinzione: le specie continentali e quelle sarde con distribuzione più ampia sono quelle a rischio più basso, mentre quelle endemiche di piccole aree sono altamente a rischio (Rondinini et al. 2022). Tra le principali minacce ci sono: l’alterazione degli habitat (sia superficiali che sotterranei) ed il disturbo diretto, i cambiamenti climatici, l’introduzione di patogeni ed il prelievo illegale (Lanza et al. 2006, Dondero et al. 2023). Recentemente la popolazione più nota di S. sarrabusensis è stata interessata da un forte declino e da una inaspettata moria, le cui cause sono ancora da stabilire (Cogoni et al. 2023).
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Testo a cura di: Enrico Lunghi
Edizione e revisione: Fabio Stoch e Ferdinando Didonna
Dove non specificato altrimenti, le foto sono di Lunghi Enrico, Università degli Studi dell’Aquila - Unione Speleologica Calenzano
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